L’ospitalità della pittura. Il cielo dipinto

“La mia arte, i miei dipinti vengono partoriti dal lavoro involontario dell’anima nella quale l’intenso linguaggio del cielo diventa eterno linguaggio divino che va ad incontrare l’immagine della Cosa più Sacra che conosciamo: la Vita.” (Raffaella Calcagnini)
Le pitture di Raffaella Calcagnini ci conducono dentro questo mondo, ci invitano ad osservare.
E come guardando le nubi cerchiamo di afferrare con la vista una figura, una forma a noi nota, così, anche di fronte a queste “finestre sul cielo”, l’occhio rincorre una linea, un segno familiare alla ricerca della propria immagine: “Talvolta noi vediamo una nuvola prendere forma di drago; talvolta un cirro la forma di leone o d’orso o di turrita cittadella o d’un aereo a picco di una forcuta montagna, di azzurri promontori vestiti d’alberi che fanno cenno con le chiome al mondo giù e ci illudono gli occhi con un gioco d’aria” (Shakespeare, Antonio e Cleopatra).
Tuttavia di fronte a queste opere, nel cercare ognuno la propria, noi troviamo alla fine la forma che l’autrice, in maniera più o meno palese, ha sigillata nella sua pittura. Una volta individuati il profilo di un angelo o un Cristo sulla Croce tra i vapori delle nubi dipinte, lo sguardo non li lascerà più: il segno pittorico ferma l’attimo in cui l’osservatore identifica l’immagine. Ecco il giuoco tra pittrice e osservatore il quale in un certo senso, scrutando il dipinto, ripercorre empiricamente il processo creativo dell’artista che ha, a sua volta, scrutato “i travolgenti e suggestivi spettacoli che il cielo ci offre fedelmente, con il passaggio dal giorno alla notte, dalle nubi al sereno, dai temporali all’arcobaleno, dalle albe ai tramonti, dalla luna alle stelle”.

Tiziana Fuligna
storico d’arte contemporanea