Understanding clouds

“A tutti consiglio la traversata di una nuvola. Possono trovarvi: l’aggrovigliarsi delle scale; la continuità, l’uniformità; il disordine, l’agitazione; la protezione, il filtro; la serra; l’incudine; le impurità; poi la pioggia, il giardino; l’energia; l’assenza; lo spessore del tratto; il nome di una pianta. E forse anche, chissà: un ammasso di dettagli, un oggetto frattale, una struttura matematica, un campo analogico, il corpo di un animale, il velo strappato di Gaia.”1

Le parole del paesaggista, botanico, giardiniere e scrittore francese Gilles Clement, nel suo testo del 2011 “Nuvole”, rappresentano perfettamente il mistero scientifico e simbolico che le nuvole sottendono. Ogni uomo di ogni epoca ha subito il fascino primordiale delle nuvole, ha tentato di comprendere composizione, formazione e funzionamento. Lucrezio nel De Rerum Naturae tenta già un approccio protoscientifico, definendo le nuvole come aggregati di atomi, non disdegnando le metafore poetiche. Le nuvole, aggregato di microgoccioline in sospensione, hanno assunto nella letteratura, nell’arte e nella religione significati via via sempre diversi: indagate non solo da scienziati ma anche da letterati e artisti, sono state analizzate soprattutto per la relazione che esse instaurano con la vita e l’ambiente. Tuttavia sono ancora numerosi gli interrogativi e le zone oscure e gli scienziati sono ancora impegnati nel capire in che modo le nuvole influiscono nel sistema climatico, come esse reagiranno al riscaldamento globale e, di conseguenza, come cambierà la nostra vita. Per capire il vivente, capire le nuvole. Capire l’intero spazio in cui si dispiega il vivente2.

Clement ci offre una chiave di lettura: definisce la nuvola come insieme complesso, impuro e informato3, non indagabile mediante la geometria euclidea ma attraverso la geometria dei frattali, oggetti dotati di una capacità frazionaria, le cui leggi si applicano agli esseri complessi che abitano la natura, sistemi finiti che contengono l’infinito e l’indeterminato e un alto grado di astrazione dal reale.

E in questa duplice realtà di finito e non-finito, in una dimensione non quantitativa ma qualitativa, risiede il rapporto che l’uomo ha con la volta celeste ed è tale relazione che Raffaella Calcagnini percorre e indaga nella sua vita di donna e artista.

Il lavoro di Raffaella si colloca tra terra e cielo, giardino di sotto, giardino in alto. Il cielo, dimora di insondabili memorie, teatro vivo dell’irrazionale e della conoscenza, spazio incontrollato e dimora della coscienza, si materializza in luce e colore. E l’anima sprofonda e improvvisamente si rialza, tirata e attirata da un insieme energetico e brulicante.

“Nuvole… Oggi sono consapevole del cielo, poiché ci sono giorni in cui non lo guardo ma solo lo sento, vivendo nella città senza vivere nella natura in cui la città è inclusa. (…) Nuvole… Sono l’intervallo fra ciò che sono e ciò che non sono, fra quanto sogno di essere e quanto la vita mi ha fatto essere (…) Nuvole… Esse sono tutto, crolli dell’altezza, uniche cose oggi reali fra la nulla terra e il cielo inesistente (…) Nuvole… Sono come me un passaggio figurato tra cielo e terra, in balìa di un impulso invisibile, temporalesche o silenziose, che rallegrano per la bianchezza o rattristano per l’oscurità, finzioni dell’intervallo e del discammino, lontane dal rumore della terra, lontane dal silenzio del cielo.”4 Fernando Pessoa, in una toccante metafora, paragona se stesso alla nuvola, entrambi passaggi figurati tra cielo e terra, in balia di un impulso invisibile. La nuvola è energia, la stessa che abita l’animo e la mente; si percepiscono le forze insite in essa, che si propagano alla città e alla natura in cui la città è inclusa.

Così il poeta-scienziato-artista si identifica e si autodichiara una forma astratta e complessa, percorsa da forze conosciute e meno note, che da sempre intraprende un percorso di conoscenza di se stessa e del divino in essa, utilizzando gli elementi naturali come scala di riferimento per trascendere verso principi astratti che informano il velo strappato di Gaia. Il cielo, distrattore dalle capacità infinite, territorio degli déi, teatro dei fenomeni celesti e degli oggetti improbabili, si confonde con il paradiso.5

Nel sistema indeterminato del cielo anche Raffaella cerca il proprio riflesso, il big bang delle origini, l’entropia, il mistero della creazione e dell’apocalisse, la trascendenza dai propri limiti. Divisa tra una fisica microcosmica e una metafisica elementare, addita al cielo nella sua duplice visione, quella empirica, reale e scientifica, e quella simbolica e intrisa di riferimenti culturali del momento storico in cui vive ed opera. Cieli nuove e terre nuove 6 sono strette da un filo indelebile e continuo, un flusso ininterrotto e circolare di vita e morte che si configura nella stessa identità di Dio e nella sua relazione con l’umanità.

Nelle opere di Raffaella a volte solo nuvole, monotòne, con l’unico pigmento stirato dalla luce che trasfonde in velature abbaglianti: si stagliano dal profondo nero, dal buio del divenire, per esplodere in soffi virginei e sgorgare in cerulei zampilli. E anche: microgocce rarefatte, materializzate e sospese, accompagnano nel viaggio delle formule e dei dettagli. Nulla è facilmente misurabile: più la scala di misura diminuisce e più aumentano le dimensioni; la realtà si mostra nella sua indeterminatezza di vertigine, inquietudine e tensione alla salvezza. In altri lavori appaiono i segni dei percorsi dell’uomo, del suo agire: elementi decostruiti, piani obliqui aggettanti, fratture esplose e disgregate assumono la stessa materialità del cielo e delle nubi. Possiamo abitare il cielo nello stesso modo della terra o anche informare la terra con le coordinate dell’etere, poiché viandanti in unico Essere che contiene tutte le storie possibili e la molteplicità di ogni vissuto possibile.

Cielo (terra), distrattore strano che ha per teatro le nuvole7 (l’uomo), include al suo interno molteplici attrattori che lo rendono insondabile. Noi, come le nuvole, elementi di transizione tra diverse dimensioni, camminiamo veloci e lenti, sospinti dal vento, incisi dai fulmini, inglobati dai tuoni, irradiati dalla luce.

Roberta Melasecca